LA STRAGE DELL'ATOMICA
La mattina dell'otto agosto, giunse improvviso un annuncio: il numero del malati era diventato eccessivo e il campo profughi non era più in grado di riceverne; una parte di loro sarebbe stata trasferita nella sezione distaccata dell'ospedale militare di Shōbara a nord di Bingo, Perciò quelli che se la sentivano da soli di salire su un treno, che lo dicessero. Su quanto accadde dopo che furono saliti sul treno a Hesoka, ecco il resoconto di Iwatake dal suo "Manoscritto di Iwatake Horoshi, medico militare di riserva, bombardato a Hiroshima". Trovai a fatica un posto sull'ultima carrozza del treno speciale. Era un treno delle ferrovie Geibi che passava per il mio paese e che tante volte avevo preso quando andavo alla scuola media. Sentire quel fischio mi ridiede coraggio: avrei potuto vivere, ora che avevo sentito quel suono a me caro. La sola emozione di poter riemergere per un po' dall'insonnia, dall'agitazione, dall'inquietudine dei giorni precedenti mi fece sentire interminabili quelle tre ore di treno, ardevo per la febbre. Il senso di tensione si allentò ed ebbi la sensazione come di cadere, nell'abisso dell'inferno, la testa confusa, ogni volta che si fermava in una stazione il treno dava un grande scossone che aveva su di me l'effetto di una frustata. A ogni stazione, vecchie donne mature col nastro dell'Associazione femminile di difesa nazionale, offrivano del tè e degli umeboshi". Avevo le labbra e l'interno della bocca gonfi, ma gli umeboshi avevano un buon sapore. Ci dicevano frasi di consolazione del tipo: "E terribile!", "Quanto dovete soffrire!" "Poveretti!", tra loro c'erano anche donne di mezza età e giovani che piangevano, senza dubbio dovevano avere figli o mariti in guerra. Una vecchia scoppiò in lacrime. Da quando ero entrato in servizio era la prima volta che mi trovavo di fronte a una scena di bimbi donne in lacrime e questo mi riportò alla mente una poesia di Li Bai, La luna su Chōan', che avevo imparato a scuola trent'anni prima. Solo allora realizzai che non era una semplice descrizione dei costumi ma che toccava nel più profondo del cuore. Nel nostro vagone due soldati erano già freddi. Ero in pensiero per mia moglie e i miei figli. Quanto a mio nipote sentivo che mi dovevo rassegnare al peggio. Il treno si fermò alla stazione di Bingo Tökaichi (l'attuale Miyoshi) Li avevo frequentato la scuola media. Mi stavo esercitando a tenere aperto l'occhio sinistro senza usare le dita allorché, proprio accanto al mio finestrino, vidi una giovane donna che conoscevo in piedi sulla piattaforma, lanciai un involontario grido, fin da piccola era stata allevata da una mia zia di Shöbara. Cosi com'ero non poteva certo riconoscermi e allora la chiamai per nome. Mi disse che aveva terminato la scuola che lavorava come volontaria alla stazione, le raccontai in breve la mia condizione, di soldato miseramente sopravvissuto. Allora lei contattò subito con il telefono della ferrovia la stazione di Shöbara il permesso dai capistazione di Shōbara e di Bingo Tókaichi di salire sul mio stesso treno. Comunque fu proprio una fortunata coincidenza, che mi rincuorò immensamente, perché mi permetteva di avvertire subito i parenti del mio ritorno, forse perché la tensione si era allentata. Il mio stato di salute invece peggiorò di colpo. Cominciai a tremare. Arrivati a Shöbara la giovane andò a contattare mia zia. Da li poi avrebbero avvisato la mia famiglia che abitava un po' fuori città. Intanto, noi soldati sopravvissuti, con un autobus a carbone di legna fummo trasportati nel pieno del crepuscolo in un posto che non era un ospedale ma un'aula col pavimento di legno al primo piano della scuola statale: niente di diverso dalla scuola di Hesaka. Quando mi distesi facendomi spazio in quella scatola di sardine, ero in stato confusionale e fui colto da un attacco di brividi e tremori. In piena notte mi venne un febbrone e non riuscii più a parlare, Cercavo di far uscire la voce ma non ci riuscivo. Ho un vago ricordo che quella notte ci fu un allarme aereo. Fino ad allora mi è successo tre volte di perdere coscienza. La prima fu immediatamente dopo lo scoppio della bomba. La seconda fu quella della notte che arrivai alla scuola di Shöbara dopo essere stato sballottato dal treno. La terza fu in seguito, nella prima decade di settembre, quando fui tra la vita e la morte a causa della cosiddetta "malattia atomica": durò un po' di giorni. Malato in punto di morte, non solo non mi era possibile l'osservazione oggettiva del mio stato di incoscienza, ma anche quella dei sintomi non mi era chiara. La mattina del nove agosto il febbrone della notte si era un po' abbassato ed ebbi la sensazione di riprendere conoscenza. Febbre da suppurazione, se così si chiama la febbre causata dalla setticemia. Quel giorno il medico militare fece il giro e ordinò una cura agli infermieri. la prima visita che ricevetti dal giorno del bombardamento, tuttavia, non usò nemmeno lo stetoscopio. Le ferite erano provocate in quasi tutto il corpo dalle ustioni: in testa. sul viso, sul collo, sulla schiena, nella parte superiore delle braccia, sul dorso delle mani, sui polsi, sulle dita, persino sui lobi delle orecchie. I polsi avevano la pelle strappata, la schiena sembrava carne di bue, perché quasi si vedevano le costole In seguito, seppi che ció era stato causato dalla luce, con un'intensità di calore di molte migliaia di gradi, irradiata in un instante. La potenza di quella bomba sfida ogni immaginazione, cade sulle mie ferite un medicamento simile ad acido che veniva a contatto con il letto, misere una garza quadrata di trenta centimetri lato, poi finito il trattamento passa- Gli infermieri applicarono e, solo sulla parte di rono subito a un altro malato, ma dato che eravamo arrivati a centinala tutti insieme, premurose o sommarie' che fossero le cure, non si poteva certo pretendere di più. Il dieci agosto, quando l'infermiere mi strappò la garza dalla schiena, lanciai senza volerlo un urlo. Si era attaccata alle ferite, a causa della febbre, del peso del corpo, delle secrezioni. Era già previsto che così la garza sarebbe venuta via. Senza badare al sangue che sgocciolava mi spalmarono sulla schiena un medicamento liquido con un pennello e vi rimisero la garza. Me lo diedero anche sul viso, sul collo, sulla parte alta delle braccia, sul palmo delle mani, sulle dita, poi passarono a un altro malato. lo, che pure mi consideravo forte nel sopportare il dolore, fui sopraffatto da questo trattamento, Anche li, man mano che i malati morivano, venivano trasportati via. I membri dell'Associazione femminile di difesa nazionale prestavano il loro aiuto e si davano da fare per le urine dei malati e per le altre cose, ma sembravano penare per il cattivo odore che prendeva alla gola. Il pomeriggio di quel giorno improvvisamente sentii: Ehi, dov'è il medico militare di riserva Iwatake? Dov'è Iwatake? - Poi la voce stridula di una donna: - Non c'è Iwatake, non c'è?- Riconobbi la voce di mia moglie. Avrei voluto rispondere ma, a causa delle labbra gonfie. le parole non uscivano, sollevai appena la mano dolente, mia moglie era andata a cercarmi sulle rovine dell'ospedale militare di Hiroshima e, sentendo che ero stato trasportato a Hesaka, si era recata alla Scuola elementare poi, informata del mio trasferimento, era accorsa a Shöbara. Il mio viso però aveva assunto del lineamenti tali che neppure lei era in grado di riconoscermi.
da Pioggia nera di I. Masuji